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mercoledì 16 aprile 2014

Conto corrente condominiale: l’amministratore può e deve aprirlo anche senza l’autorizzazione dell’assemblea e la banca non può opporsi.

Può l’amministratore aprire un conto corrente intestato al condominio senza la preventiva autorizzazione assembleare e scegliendo in autonomia la banca a cui affidarsi?  La risposta è si.

L’argomento merita attenzione specie perché alcune banche, sbagliando, chiedono all’amministratore del condominio di esibire un’apposita delibera con cui l’assemblea lo autorizza all’apertura del conto corrente con l’indicazione della banca scelta.

Una prima analisi della questione va fatta esaminando l’ordinamento previgente alla legge n. 220/2012 di riforma del condominio.

La Suprema Corte era già intervenuta in materia con la sentenza n. 7162 del 10 maggio 2012, sostenendo come “pur in assenza di norme che ne facciano obbligo, l’amministratore sia tenuto a far affluire i versamenti delle quote condominiali in apposito e separato conto corrente intestato a ciascun condominio da lui amministrato” , specificando, inoltre, come “l’apertura del conto corrente non richiede specifiche autorizzazioni assembleari”, chiarendo che il conto corrente dedicato “risponde ad esigenze di trasparenza e di informazione”.

Va ricordato, anche, come da sempre la giurisprudenza abbia ritenuto motivo di revoca giudiziale l’utilizzo di propri e personali conti correnti da parte dell’amministratore per movimenti di entrata ed uscita relativi all’amministrazione del condominio.

La legge n. 220/2012 non solo ha confermato le tesi della Suprema Corte, ma le ha anche rafforzate.

Infatti, il nuovo art. 1129 c.c. prevede come obbligo personale dell’amministratore quello di aprire ed utilizzare il conto corrente condominiale, ribadendo tale violazione tra le cause di revoca giudiziale ed escludendo, dunque, una competenza assembleare al riguardo.

Ciò nonostante, alcune banche, per proprio regolamento interno, impongono l’esibizione della delibera condominiale.

Guardando non solo alla gerarchia delle fonti normative ma anche alla natura imperativa della norma introdotta dalla legge di riforma del condominio, è di tutta evidenza come tali richieste siano infondate giuridicamente.

Certamente dopo il d.p.r. 27.6.1985 n. 350, la Corte Costituzionale, riconosciuta la natura imprenditoriale dell’attività bancaria, ha dichiarato inapplicabile il regime penale degli incaricati di pubblico servizio a tutti i dipendenti delle banche, ma questo non appare sufficiente a sostenere la pretesa poiché risulterebbe certamente un fatto lesivo della sfera di autonomia giuridica dell’amministratore di condominio.

Infine, posto che proprio in ragione dell’ordinamento vigente le banche non si assumerebbero alcuna ulteriore responsabilità, il loro diritto di accertamento deve ritenersi legittimo nella misura in cui si limita a verificare l’esistenza di un valido verbale di nomina e quindi l’attualità della rappresentanza legale del nuovo amministratore.

Si aggiunge, ancora, che non sarebbe necessario nemmeno il certificato di attribuzione del codice fiscale del condominio da cui si evince la rappresentanza dell’amministratore posto che tale documento rileva soltanto ai fini della notorietà al fisco.

Infatti, tra il condominio e l’amministratore si instaura un rapporto di mandato che si perfeziona, risultando idoneo a produrre i suoi effetti giuridici, con la semplice delibera condominiale di nomina ed accettazione della offerta economica e candidatura.

Unico presupposto indefettibile, pertanto, all’apertura del conto corrente condominiale è la sola rappresentanza legale dell’amministratore, con l’ulteriore conseguenza che la banca, quale soggetto terzo al rapporto condominio-amministratore, può soltanto sollevare eccezioni di nullità della nomina e giammai quelle di annullabilità in quanto queste ultime restano prerogativa del singolo condomino.


A cura del Centro Studi
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